La responsabilità degli istituti di credito per le truffe compiute tramite phishing.

Il phishing

Il phishing è un particolare tipo di truffa informatica che si realizza mediante l’invio di e-mail contenenti malware o link infetti. Le e-mail sono strutturate in modo ingannevole e vengono inviate al maggior numero possibile di persone, in attesa che una di esse “abbocchi” all’amo (da qui il termine phishing) e clicchi sul link o sull’allegato contenuto nella e-mail stessa.


Spesso il truffatore predispone la e-mail in modo che questa sembri provenire da istituti finanziari (banche o società emittenti di carte di credito) o da siti web che richiedono l’accesso previa registrazione (web-mail, e-commerce ecc.). In genere, la mail ingannevole lamenta problemi di registrazione o di accesso al servizio ed invita l’utente a cliccare su un link, il quale è anch’esso strutturato in modo da sembrare appartenente all’istituto di credito o al sito web, e immettere le proprie credenziali di accesso. Nel malaugurato caso in cui l’utente cada nella trappola ed immetta i propri dati riservati, questi entrano in possesso del truffatore, il quale li utilizza per effettuare prelevamenti o trasferimenti di denaro.



In altri casi, la truffa si realizza tramite l’induzione ad aprire allegati malevoli (i c.d. malware o virus informatici) contenuti nella e-mail, i quali “infettano” il computer e carpiscono i dati riservati del malcapitato. Anche in questo caso gli allegati sono strutturati in modo tale da ingannare l’utente e indurlo ad aprirli: ad esempio, possono essere false fatture, contravvenzioni o avvisi di consegna pacchi.


La responsabilità degli istituti di credito

Il tema della responsabilità per le truffe realizzate tramite phishing è piuttosto spinoso e dibattuto: può infatti ritenersi che le conseguenze dannose della truffa debbano essere attribuite unicamente all’incauto utente, colpevole di aver fornito spontaneamente i propri dati riservati ai truffatori, oppure che debbano essere attribuite agli istituti di credito, per non aver preso tutte le precauzioni necessarie per la protezione degli utenti dal rischio di truffe online.


La questione è dibattuta anche in giurisprudenza. In particolare, con la sentenza n. 7217/2023 la Corte di Cassazione si è pronunciata a favore degli istituti di credito, stabilendo che la responsabilità resta in capo all’incauto correntista, caduto vittima di phishing, ogniqualvolta la banca abbia adottato misure di sicurezza efficaci per impedire che ciò accadesse. 


La vicenda riguardava un cliente della banca che, dopo essere caduto nella trappola del truffatore, aveva trovato sul proprio conto un bonifico telematico eseguito a favore di un terzo, da lui mai effettuato. Dopo una prima pronuncia favorevole al cliente, sia i giudici di appello che quelli di legittimità hanno sposato le ragioni dell’istituto, sottolineando che il cliente aveva fornito ai truffatori informatici le proprie credenziali di accesso in violazione di tutte le regole di prudenza e accortezza che ci si potrebbe aspettare dall’utente medio, anche non esperto di sistemi di sicurezza informatica. Infatti, in 


Autore: Avv. Giacomo Graziano 06 mag, 2024
L’acquisto autonomo di una pertinenza: profili giuridici e fiscali.
Autore: Avv. Giacomo Graziano 12 mar, 2024
Il trasferimento del lavoratore oltre 50 km dal luogo di residenza.
La conservazione dei metadati delle email aziendali solleva interrogativi sulla libertà dei dipenden
Autore: Avv. Clementina Baroni 20 feb, 2024
Conservazione dei metadati delle e-mail aziendali: una limitazione alle libertà dei dipendenti?
Autore: Avv. Giacomo Graziano 06 feb, 2024
Gli obblighi del conduttore previsti dall’art. 1590 cc.
Autore: Avv. Giacomo Graziano 29 gen, 2024
Il licenziamento ritorsivo del lavoratore 
Autore: Dott. Simone Puglia 22 gen, 2024
Mobbing, straining e responsabilità del datore di lavoro
Quando viene consegnato da un venditore ad un compratore un bene diverso rispetto a quello pattuito
Autore: Avv. Giacomo Graziano 15 gen, 2024
Quando viene consegnato da un venditore ad un compratore un bene diverso rispetto a quello pattuito
Autore: Avv. Giacomo Graziano 10 dic, 2023
Nell’ipotesi in cui un soggetto riceva un immobile in donazione, potrebbe essere costretto a rapportarsi con aspetti riguardanti la materia della successione ereditaria. Infatti, la legge riserva a favore di determinati soggetti, detti eredi legittimari, ovvero il coniuge, i figli (oppure gli ascendenti del defunto quando non vi sono figli), una quota di eredità detta “quota di legittima” della quale essi non possono essere in alcun modo privati. Ebbene, gli eredi legittimari che ritengono lesa la propria quota di legittima da una o più donazioni fatte il vita dal defunto, hanno la possibilità di intraprendere una causa giudiziaria disciplinata dall'art. 563 cc che consente loro di chiedere la reintegrazione della quota di legittima mediante la riduzione delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre (cosiddetta “quota disponibile”). In particolare: 1. Gli eredi legittimari possono esercitare l’azione di riduzione nei confronti di coloro che hanno ricevuto la donazione (detti donatari) con lo scopo di far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale) della donazione che eccede la quota di cui il donante poteva disporre, entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione; 2. Sempre gli stessi eredi legittimari potranno introdurre una azione di restituzione dei beni donati nei confronti di terzi acquirenti del bene donato entro 20 anni dalla trascrizione della donazione . Trascorso questo termine l'azione non avrebbe più alcuna efficacia nei confronti dei terzi acquirenti. Legittimati passivi dell’azione di restituzione sono coloro che, nell’eventuale serie dei trasferimenti dell’immobile “ sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione ” (Cass. n. 2824/1960). L’acquirente di un bene immobile che subisce entro 20 anni l’azione di restituzione, può liberarsi dall’obbligo di restituzione del bene p agando l’equivalente in denaro (art. 563, co. 3 c.c.). Si tratta di un potere di riscatto riconosciuto dalla legge al terzo acquirente che gli consente di estinguere l’azione stessa. Infatti, attraverso l’esercizio della facoltà di riscatto, il terzo acquirente ha la possibilità di mantenere intatta la titolarità sul bene mediante la corresponsione di una somma di denaro necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario vittorioso con l’azione di riduzione precedentemente avanzate nei confronti dei donatari. Pertanto, se un soggetto si sta approcciando all’acquisto di una casa derivante da atto di donazione deve considerare che il rischio di non subire azioni civili da parte dei parenti che ritengono di essere lesi nella quota legittima decade: -trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, se il donante è ancora in vita e non è stata mossa alcuna opposizione alla donazione stessa, oppure: -dopo 10 anni dalla data del decesso del donante che coincide col momento dell’apertura della successione. Per ulteriori informazioni e chiarimenti su casi specifici, potete contattare lo Studio Baroni & Partners che metterà a disposizione professionisti esperti nella materia.
Licenziamento del lavoratore
Autore: Dott. Simone Puglia 29 nov, 2023
Il datore di lavoro può procedere al licenziamento individuale di un dipendente per giustificato motivo oggettivo, e cioè a causa di “ ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ” (art. 3 L. n. 604/1966). Si tratta in questo caso di un licenziamento c.d. economico, che quindi non riguarda il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro, ma attiene più che altro a ragioni di organizzazione dell’impresa, come ad esempio la soppressione del posto di lavoro, la scelta di organizzare diversamente i reparti, la riorganizzazione delle mansioni all’interno dell’impresa ecc. La ragione economica non è però sufficiente : il datore di lavoro deve anche assolvere al c.d. obbligo di repechage, e quindi verificare se il lavoratore possa essere collocato altrove all’interno dell’azienda, svolgendo mansioni equivalenti a quelle cui era addetto in precedenza. Non solo, egli è tenuto anche a verificare se siano disponibili mansioni ragionevolmente inferiori a quelle precedentemente ricoperte, o addirittura con orario di lavoro ridotto. Se la verifica dà esito positivo, l’imprenditore è tenuto ad offrire il posto al lavoratore, mentre se l’esito è negativo, egli può legittimamente procedere al licenziamento. Il repechage è un istituto di origine giurisprudenziale elaborato con il preciso scopo di tutelare al massimo il posto di lavoro, e pertanto l’onere della prova dell’indisponibilità di altre mansioni, posto in capo all’imprenditore, è particolarmente stringente. In ogni caso, in attuazione del principio solidaristico presente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, il lavoratore è comunque tenuto a prestare una leale collaborazione con il datore di lavoro per trovare la soluzione più congrua alla soddisfazione di entrambi gli interessi contrapposti. Sul punto, è esemplare un caso analizzato di recente dalla Suprema Corte (Cass. n. 12244/2023) nel quale i giudici hanno deciso che il rifiuto da parte del lavoratore alla riduzione dell’orario di lavoro può legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il caso di specie riguardava una piccola impresa nella quale, a seguito della riorganizzazione aziendale, si era verificato un esubero di 3 dipendenti; per consentire la conservazione dei posti, l’imprenditore ha offerto la riduzione dell’orario di lavoro, accettata solamente da due dei tre dipendenti; il terzo lavoratore è stato così licenziato per intervenuta soppressione del posto di lavoro, non essendovi più spazio per un dipendente a tempo pieno. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento sostenendo che fosse ritorsivo in quanto il datore aveva voluto punirlo per non aver accettato la riduzione dell’orario di lavoro. Sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno dato ragione all’impresa. Anche la Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha sostenuto le ragioni dell’azienda, ritenendo legittimo il licenziamento. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, a seguito del rifiuto alla modifica dell’orario di lavoro, il licenziamento è comunque legittimo quando il datore di lavoro dimostra :
Debiti e crediti, cosa cambia con la Riforma Cartabia
Autore: Avv. Giacomo Graziano 20 nov, 2023
Riforma Cartabia: Nuovi oneri previsti per i creditori dall’art. 543 cpc.
Share by: