Il licenziamento ritorsivo del lavoratore
Il licenziamento detto ritorsivo si prospetta quando il datore di lavoro reagisce in maniera ingiusta ed arbitraria ad un comportamento legittimo del lavoratore.
Infatti, il licenziamento per ritorsione è affetto da nullità solamente a patto che il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova. Ai fini della configurabilità di un licenziamento ritorsivo, pertanto, va dimostrato, da parte di chi deduce la ritorsività, il motivo illecito esclusivo determinante ex art. 1345 c.c., che non ricorre laddove sia ravvisabile la concorrenza di un’altra possibile ragione di recesso.
Quando si parla di “nullità del licenziamento per motivo illecito, ci si fonda su di un’interpretazione estensiva della previsione di nullità per il licenziamento discriminatorio, sancita dall’art. 4, legge n. 604/1966 e successivamente estesa dall’art. 15, legge n. 300/1970 e dall’art. 3, legge 108/1990, con la conseguente applicazione delle garanzie di tutela reale anche ai licenziamenti che siano determinanti in maniera esclusiva da motivo illecito, di ritorsione o rappresaglia, costituendo essi l’arbitraria reazione datoriale a fronte di un comportamento legittimo posto in essere dal lavoratore o di rivendicazioni legittime avanzate dallo stesso. Ciò in quanto il licenziamento viziato da motivo illecito appare suscettibile di essere ricondotto alla generale previsione codicistica dell’atto unilaterale nullo, a norma dell’art. 1345 c.c.” (Trib. di Agrigento 11 giugno 2002).
Quindi, a conferma di quanto sopra, non pare di affermare nulla di nuovo nell’evidenziare come, per costante e unanime giurisprudenza, il licenziamento ritorsivo “costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accumunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni” (Cass. Civ. sez. lav. n. 17087/11, conforme Cass. Civ. sez. lav. n. 4797/12).
Nel caso in cui il lavoratore dimostri in una causa la natura ritorsiva del licenziamento, il Giudice sarà tenuto a dichiararlo nullo, ad ordinare al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore sul luogo di lavoro, a condannare il datore al risarcimento del danno subito stabilendo un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative; ad ogni modo, la misura del risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità. Inoltre, condanna il datore di lavoro, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
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