Mobbing, straining e responsabilità del datore di lavoro
Tra il lavoratore e il datore di lavoro, nonché tra gli stessi lavoratori, possono verificarsi vari tipi di dinamiche relazionali; alcune di queste, specie se intervenute tra soggetti posti in rapporto di sovraordinazione-subordinazione all’interno dell’organigramma societario, possono sfociare in comportamenti lesivi per il soggetto gerarchicamente subordinato. In particolare, la psicologia del lavoro e la giurisprudenza hanno tipizzato i fenomeni del
mobbing e dello
straining.
Mobbing
Per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, costituita da sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti:
- l’elemento oggettivo, e quindi la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
- il danno, e quindi l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
- il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;
- l’elemento soggettivo, e quindi l’intento persecutorio che ha animato la condotta.
Tale impostazione è confermata anche dalla giurisprudenza, la quale sostiene che il mobbing lavorativo si configura quando ricorrono sia l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro, sia quello soggettivo, costituito dall’intento persecutorio nei confronti della vittima (Cass., n. 12437/2018; Cass., n. 26684/2017).
Straining
Anche lo straining è una forma di prevaricazione e di persecuzione psicologica attuata sul posto di lavoro nei confronti del lavoratore, ma si caratterizza per una minore intensità rispetto alle condotte che generano il mobbing. In sostanza, lo straining consiste in una forma attenuata di mobbing, e si presenta quando vengono posti in essere comportamenti “stressogeni” specificamente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manca la pluralità delle azioni vessatorie o esse sono limitate nel numero, ma comunque con effetti dannosi rispetto all’interessato.
Secondo la giurisprudenza, nonostante la sua gravità più limitata rispetto al mobbing, anche lo straining deve essere qualificato come fatto ingiusto ai sensi dell’art. 2087 c.c. e quindi può dare origine ad un’obbligazione risarcitoria del datore di lavoro a vantaggio del lavoratore.
Sul punto, con la recentissima sentenza n. 29101 del 19 ottobre 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che il comportamento del superiore gerarchico, caratterizzato nel caso di specie da “stressante modalità di controllo” e da un singolo episodio di prevaricazione che aveva generato un malore del lavoratore, è un fatto illecito ex art. 2087 c.c. e obbliga al risarcimento del danno. Infatti, secondo il ragionamento della Corte, al di là della qualificazione come mobbing o straining, “quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento”.
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