Riforma Cartabia

Riforma Cartabia: Nuovi oneri previsti per i creditori dall’art. 543 cpc.


Con l’entrata in vigore della Legge n. 206/2021 (conosciuta anche come Riforma Cartabia) si sono avute importanti novità che hanno riguardato la disciplina del processo esecutivo. In particolare, il nuovo art. 543, comma 5, c.p.c. relativo al pignoramento presso terzi stabilisce che:
 “Il creditore, entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento, notifica al debitore e al terzo l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura e deposita l’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione. La mancata notifica dell’avviso o il suo mancato deposito nel fascicolo dell’esecuzione determina l’inefficacia del pignoramento”.

In buona sostanza, la nuova disposizione normativa obbliga il creditore procedente ad un duplice onere che precedentemente non aveva, ovvero:


  1. notificare al debitore e al terzo l’avviso di iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura;
  2. depositarlo successivamente nel fascicolo dell’esecuzione entro la data di comparizione indicata nell’atto di pignoramento oppure entro quella effettivamente fissata dal giudice.



La modifica all’art. 543 co. 5 cpc mira ad agevolare la posizione del terzo pignorato, avvisandolo tempestivamente della prosecuzione o meno della procedura esecutiva, eliminando il suo dovere di accantonare le somme pignorate in mancanza della notifica dell’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo dell’atto di pignoramento.


Infatti, prima della riforma, il terzo pignorato non veniva mai avvisato dell’iscrizione a ruolo del pignoramento; quindi, si ritrovava frequentemente nella situazione di mettere da parte le somme pignorate senza sapere se e quando svincolarle nei casi in cui la procedura esecutiva non veniva portata avanti da parte del creditore procedente.


Vale la pena sottolineare che la sanzione prevista nel caso in cui il creditore non sia in grado di perfezionare le notifiche dell’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo nei confronti del debitore e del terzo pignorato e a depositare tali avvisi nel fascicolo dell’esecuzione prima della data dell’udienza, consiste nella inefficacia del pignoramento presso terzi e, di conseguenza, nell’improcedibilità dell’espropriazione forzata.


Come si può facilmente intuire, i nuovi oneri previsti a carico del creditore, contrariamente allo scopo che il legislatore si era proposto ovvero di perseguire una maggiore efficienza del processo civile, purtroppo si tradurranno, al contrario, in una dilatazione dei tempi processuali in quanto i creditori, per non vanificare l’intera procedura esecutiva, saranno costretti a fissare le udienze di comparizione in un lasso di tempo ben più ampio rispetto a quello minimo di dieci giorni dal perfezionarsi della notificazione dell’atto di pignoramento (previsto dall’art. 543 co. 2 cpc).


Non solo, l’introduzione della novità dell’onere di avvisare sia il debitore esecutato che il terzo pignorato dell’avvenuta iscrizione a ruolo del pignoramento, si tradurrà inevitabilmente in un aumento dei costi a carico del creditore istante, il quale dovrà versare nelle casse dell’UNEP (Ufficio Notificazioni Esecuzioni e Protesti) territorialmente competente anche le spese di notifica correlate a detto ulteriore incombente.


Per ulteriori informazioni e chiarimenti su casi specifici, potete contattare lo Studio Baroni & Partners che metterà a disposizione professionisti esperti nella materia.



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Nell’ipotesi in cui un soggetto riceva un immobile in donazione, potrebbe essere costretto a rapportarsi con aspetti riguardanti la materia della successione ereditaria. Infatti, la legge riserva a favore di determinati soggetti, detti eredi legittimari, ovvero il coniuge, i figli (oppure gli ascendenti del defunto quando non vi sono figli), una quota di eredità detta “quota di legittima” della quale essi non possono essere in alcun modo privati. Ebbene, gli eredi legittimari che ritengono lesa la propria quota di legittima da una o più donazioni fatte il vita dal defunto, hanno la possibilità di intraprendere una causa giudiziaria disciplinata dall'art. 563 cc che consente loro di chiedere la reintegrazione della quota di legittima mediante la riduzione delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre (cosiddetta “quota disponibile”). In particolare: 1. Gli eredi legittimari possono esercitare l’azione di riduzione nei confronti di coloro che hanno ricevuto la donazione (detti donatari) con lo scopo di far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale) della donazione che eccede la quota di cui il donante poteva disporre, entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione; 2. Sempre gli stessi eredi legittimari potranno introdurre una azione di restituzione dei beni donati nei confronti di terzi acquirenti del bene donato entro 20 anni dalla trascrizione della donazione . Trascorso questo termine l'azione non avrebbe più alcuna efficacia nei confronti dei terzi acquirenti. Legittimati passivi dell’azione di restituzione sono coloro che, nell’eventuale serie dei trasferimenti dell’immobile “ sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione ” (Cass. n. 2824/1960). L’acquirente di un bene immobile che subisce entro 20 anni l’azione di restituzione, può liberarsi dall’obbligo di restituzione del bene p agando l’equivalente in denaro (art. 563, co. 3 c.c.). Si tratta di un potere di riscatto riconosciuto dalla legge al terzo acquirente che gli consente di estinguere l’azione stessa. Infatti, attraverso l’esercizio della facoltà di riscatto, il terzo acquirente ha la possibilità di mantenere intatta la titolarità sul bene mediante la corresponsione di una somma di denaro necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario vittorioso con l’azione di riduzione precedentemente avanzate nei confronti dei donatari. Pertanto, se un soggetto si sta approcciando all’acquisto di una casa derivante da atto di donazione deve considerare che il rischio di non subire azioni civili da parte dei parenti che ritengono di essere lesi nella quota legittima decade: -trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, se il donante è ancora in vita e non è stata mossa alcuna opposizione alla donazione stessa, oppure: -dopo 10 anni dalla data del decesso del donante che coincide col momento dell’apertura della successione. Per ulteriori informazioni e chiarimenti su casi specifici, potete contattare lo Studio Baroni & Partners che metterà a disposizione professionisti esperti nella materia.
Licenziamento del lavoratore
Autore: Dott. Simone Puglia 29 nov, 2023
Il datore di lavoro può procedere al licenziamento individuale di un dipendente per giustificato motivo oggettivo, e cioè a causa di “ ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ” (art. 3 L. n. 604/1966). Si tratta in questo caso di un licenziamento c.d. economico, che quindi non riguarda il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro, ma attiene più che altro a ragioni di organizzazione dell’impresa, come ad esempio la soppressione del posto di lavoro, la scelta di organizzare diversamente i reparti, la riorganizzazione delle mansioni all’interno dell’impresa ecc. La ragione economica non è però sufficiente : il datore di lavoro deve anche assolvere al c.d. obbligo di repechage, e quindi verificare se il lavoratore possa essere collocato altrove all’interno dell’azienda, svolgendo mansioni equivalenti a quelle cui era addetto in precedenza. Non solo, egli è tenuto anche a verificare se siano disponibili mansioni ragionevolmente inferiori a quelle precedentemente ricoperte, o addirittura con orario di lavoro ridotto. Se la verifica dà esito positivo, l’imprenditore è tenuto ad offrire il posto al lavoratore, mentre se l’esito è negativo, egli può legittimamente procedere al licenziamento. Il repechage è un istituto di origine giurisprudenziale elaborato con il preciso scopo di tutelare al massimo il posto di lavoro, e pertanto l’onere della prova dell’indisponibilità di altre mansioni, posto in capo all’imprenditore, è particolarmente stringente. In ogni caso, in attuazione del principio solidaristico presente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, il lavoratore è comunque tenuto a prestare una leale collaborazione con il datore di lavoro per trovare la soluzione più congrua alla soddisfazione di entrambi gli interessi contrapposti. Sul punto, è esemplare un caso analizzato di recente dalla Suprema Corte (Cass. n. 12244/2023) nel quale i giudici hanno deciso che il rifiuto da parte del lavoratore alla riduzione dell’orario di lavoro può legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il caso di specie riguardava una piccola impresa nella quale, a seguito della riorganizzazione aziendale, si era verificato un esubero di 3 dipendenti; per consentire la conservazione dei posti, l’imprenditore ha offerto la riduzione dell’orario di lavoro, accettata solamente da due dei tre dipendenti; il terzo lavoratore è stato così licenziato per intervenuta soppressione del posto di lavoro, non essendovi più spazio per un dipendente a tempo pieno. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento sostenendo che fosse ritorsivo in quanto il datore aveva voluto punirlo per non aver accettato la riduzione dell’orario di lavoro. Sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno dato ragione all’impresa. Anche la Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha sostenuto le ragioni dell’azienda, ritenendo legittimo il licenziamento. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, a seguito del rifiuto alla modifica dell’orario di lavoro, il licenziamento è comunque legittimo quando il datore di lavoro dimostra :
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