Conservazione dei metadati delle e-mail aziendali: una limitazione alle libertà dei dipendenti?

Ma siamo sicuri che la conservazione dei metadati delle e-mail aziendali arrechi un pregiudizio per le libertà del dipendente tanto da dover prevedere un termine non superiore ai sette giorni, estensibili ad ulteriori 48 ore solo in caso di comprovate e documentate esigenze? E se invece la Corte di cassazione, in sede penale, affermasse la piena utilizzabilità, nei confronti del lavoratore dei dati personali e delle immagini conservate oltre un dato periodo?


Questo è quello che succede in Italia!!


Il recentissimo provvedimento dell’Autorità Garante italiana, Provvedimento del 21 dicembre 2023 - Documento di indirizzo “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati” [9978728],  ha previsto che, nel caso di utilizzo di programmi e servizi in cloud per la gestione della posta elettronica, : “l’attività di raccolta e conservazione dei soli c.d. metadati necessari ad assicurare il funzionamento delle infrastrutture del sistema della posta elettronica, per un tempo che, all’esito di valutazioni tecniche e nel rispetto del principio di responsabilizzazione - affinché sia ritenuto applicabile il comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970 – non può essere superiore di norma a poche ore o ad alcuni giorni, in ogni caso non oltre sette giorni, estensibili, in presenza di comprovate e documentate esigenze che ne giustifichino il prolungamento, di ulteriori 48 ore”.


In alternativa, “nel caso in cui i trattamenti di dati personali in questione si dovessero comunque rendere necessari per il perseguimento di esigenze organizzative o produttive, espletare le richiamate procedure di garanzia previste dalla disciplina di settore (art. 4 della l. 300/1970) o cessare l’utilizzo di tali programmi e servizi informatici ossia procedere a formalizzare un accordo con le RSU eventualmente presenti in azienda o richiedere specifica autorizzazione all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente insomma, le stesse procedure che si attuano nel caso di installazione di un sistema di videosorveglianza nei locali aziendali o di dispositivi di geolocalizzazione.


Ma cosa sono i metadati? I metadati sono quelle informazioni necessarie a un documento (informatico), affinché sia creato nel modo corretto, potendolo gestire, conservare e rendere accessibile nel tempo.


Rappresentano, in sintesi, una sorta di Carta d’Identità dei file digitali, che indicano la provenienza, la data di creazione, le ultime modifiche e tutti quegli attributi utili per la loro classificazione: in particolare, per una e-mail rappresentano le sole caratteristiche/proprietà, senza rivelarne il contenuto con eventuali allegati. 


Le caratteristiche sono: il giorno, l’ora, il mittente, il destinatario, l’oggetto e la dimensione dell’e-mail stessa.


La posta elettronica utilizzata dai dipendenti rappresenta uno “strumento di lavoro”, ma addirittura per il Garante, la conservazione e l’archiviazione dei metadati rappresenterebbe un sistema di monitoraggio del lavoratore da parte del datore di lavoro in quanto avrebbe la possibilità di verificare le performance aziendali del dipendente e i metadati, pertanto, non rientrerebbero come caratteristiche dello strumento di lavoro.


Siamo così sicuri che questa limitazione circa i tempi di conservazione dei metadati sia la strada più giusta da intraprendere? La conservazione dei metadati avrebbe invece rilevanza:


- sia come rilievo negoziale, che onere della prova, soprattutto laddove sono in gioco termini di decadenza o prescrizione;

- per la ricostruzione degli avvenimenti circa eventuali data breach che potrebbero palesarsi in azienda dopo l’apertura di una semplice e-mail;

- per la gestione delle attività lavorative, in quanto la cancellazione dei metadati potrebbe compromettere la possibilità di effettuare anche delle verifiche su rapporti contrattuali con le parti.


Inoltre, siamo così convinti che le RSU e le ITL competenti abbiano gli strumenti necessari per verificare se il trattamento sia lecito o meno, come invece già avviene per videosorveglianza e geolocalizzazione, dove ci sono parametri già standardizzati che permettano di capire se quell’uso di strumenti di monitoraggio siano lesivi nei confronti del lavoratore?


A ciò si aggiunga che la Suprema Corte, in sede penale, intervenendo su una questione avente ad oggetto un procedimento intentato nei confronti di un lavoratore accusato di vari comportamenti illeciti ha statuito la piena utilizzabilità, nei confronti del lavoratore dei dati personali e delle immagini conservate oltre un dato periodo.


La Cassazione, in particolare, ha ritenuto pienamente acquisibile “il filmato estrapolato dalle videocamere installate negli adiacenti locali della Guardia di Finanza, conservato per un tempo superiore a quello consentito dalla normativa in tema di privacy (d. Igs. n. 196 del 2003): infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta e cede dinanzi alle esigenze di tutela della collettività e, in specie, alle esigenze di accertamento probatorio proprie del processo penale.”


Ci auspichiamo, in tempi brevi, una maggiore chiarezza e un indirizzo lineare ed uniforme sulle linee guida da applicare in quanto queste nuove diposizioni, se si dovessero applicare, comporterebbero ulteriori oneri invasivi nei confronti dei Titolari, anche per quelle piccole aziende con solo uno o due dipendenti, e svaluterebbero anche i fornitori di servizi in Cloud, che hanno proprio come obbiettivo principale la conservazione, nei tempi di legge, dei dati.


Avv. Clementina Baroni

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Nell’ipotesi in cui un soggetto riceva un immobile in donazione, potrebbe essere costretto a rapportarsi con aspetti riguardanti la materia della successione ereditaria. Infatti, la legge riserva a favore di determinati soggetti, detti eredi legittimari, ovvero il coniuge, i figli (oppure gli ascendenti del defunto quando non vi sono figli), una quota di eredità detta “quota di legittima” della quale essi non possono essere in alcun modo privati. Ebbene, gli eredi legittimari che ritengono lesa la propria quota di legittima da una o più donazioni fatte il vita dal defunto, hanno la possibilità di intraprendere una causa giudiziaria disciplinata dall'art. 563 cc che consente loro di chiedere la reintegrazione della quota di legittima mediante la riduzione delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre (cosiddetta “quota disponibile”). In particolare: 1. Gli eredi legittimari possono esercitare l’azione di riduzione nei confronti di coloro che hanno ricevuto la donazione (detti donatari) con lo scopo di far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale) della donazione che eccede la quota di cui il donante poteva disporre, entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione; 2. Sempre gli stessi eredi legittimari potranno introdurre una azione di restituzione dei beni donati nei confronti di terzi acquirenti del bene donato entro 20 anni dalla trascrizione della donazione . Trascorso questo termine l'azione non avrebbe più alcuna efficacia nei confronti dei terzi acquirenti. Legittimati passivi dell’azione di restituzione sono coloro che, nell’eventuale serie dei trasferimenti dell’immobile “ sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione ” (Cass. n. 2824/1960). L’acquirente di un bene immobile che subisce entro 20 anni l’azione di restituzione, può liberarsi dall’obbligo di restituzione del bene p agando l’equivalente in denaro (art. 563, co. 3 c.c.). Si tratta di un potere di riscatto riconosciuto dalla legge al terzo acquirente che gli consente di estinguere l’azione stessa. Infatti, attraverso l’esercizio della facoltà di riscatto, il terzo acquirente ha la possibilità di mantenere intatta la titolarità sul bene mediante la corresponsione di una somma di denaro necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario vittorioso con l’azione di riduzione precedentemente avanzate nei confronti dei donatari. Pertanto, se un soggetto si sta approcciando all’acquisto di una casa derivante da atto di donazione deve considerare che il rischio di non subire azioni civili da parte dei parenti che ritengono di essere lesi nella quota legittima decade: -trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, se il donante è ancora in vita e non è stata mossa alcuna opposizione alla donazione stessa, oppure: -dopo 10 anni dalla data del decesso del donante che coincide col momento dell’apertura della successione. Per ulteriori informazioni e chiarimenti su casi specifici, potete contattare lo Studio Baroni & Partners che metterà a disposizione professionisti esperti nella materia.
Licenziamento del lavoratore
Autore: Dott. Simone Puglia 29 nov, 2023
Il datore di lavoro può procedere al licenziamento individuale di un dipendente per giustificato motivo oggettivo, e cioè a causa di “ ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ” (art. 3 L. n. 604/1966). Si tratta in questo caso di un licenziamento c.d. economico, che quindi non riguarda il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro, ma attiene più che altro a ragioni di organizzazione dell’impresa, come ad esempio la soppressione del posto di lavoro, la scelta di organizzare diversamente i reparti, la riorganizzazione delle mansioni all’interno dell’impresa ecc. La ragione economica non è però sufficiente : il datore di lavoro deve anche assolvere al c.d. obbligo di repechage, e quindi verificare se il lavoratore possa essere collocato altrove all’interno dell’azienda, svolgendo mansioni equivalenti a quelle cui era addetto in precedenza. Non solo, egli è tenuto anche a verificare se siano disponibili mansioni ragionevolmente inferiori a quelle precedentemente ricoperte, o addirittura con orario di lavoro ridotto. Se la verifica dà esito positivo, l’imprenditore è tenuto ad offrire il posto al lavoratore, mentre se l’esito è negativo, egli può legittimamente procedere al licenziamento. Il repechage è un istituto di origine giurisprudenziale elaborato con il preciso scopo di tutelare al massimo il posto di lavoro, e pertanto l’onere della prova dell’indisponibilità di altre mansioni, posto in capo all’imprenditore, è particolarmente stringente. In ogni caso, in attuazione del principio solidaristico presente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, il lavoratore è comunque tenuto a prestare una leale collaborazione con il datore di lavoro per trovare la soluzione più congrua alla soddisfazione di entrambi gli interessi contrapposti. Sul punto, è esemplare un caso analizzato di recente dalla Suprema Corte (Cass. n. 12244/2023) nel quale i giudici hanno deciso che il rifiuto da parte del lavoratore alla riduzione dell’orario di lavoro può legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il caso di specie riguardava una piccola impresa nella quale, a seguito della riorganizzazione aziendale, si era verificato un esubero di 3 dipendenti; per consentire la conservazione dei posti, l’imprenditore ha offerto la riduzione dell’orario di lavoro, accettata solamente da due dei tre dipendenti; il terzo lavoratore è stato così licenziato per intervenuta soppressione del posto di lavoro, non essendovi più spazio per un dipendente a tempo pieno. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento sostenendo che fosse ritorsivo in quanto il datore aveva voluto punirlo per non aver accettato la riduzione dell’orario di lavoro. Sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno dato ragione all’impresa. Anche la Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha sostenuto le ragioni dell’azienda, ritenendo legittimo il licenziamento. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, a seguito del rifiuto alla modifica dell’orario di lavoro, il licenziamento è comunque legittimo quando il datore di lavoro dimostra :
Debiti e crediti, cosa cambia con la Riforma Cartabia
Autore: Avv. Giacomo Graziano 20 nov, 2023
Riforma Cartabia: Nuovi oneri previsti per i creditori dall’art. 543 cpc.
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